La Via Francigena: Parte 1

La Via Francigena è un percorso escursionistico di grande interesse che si sviluppa tra Canterbury, in Inghilterra, e Roma. Nel 990 Sigerico, arcivescovo di Canterbury compie questo viaggio descrivendolo in 79 tappe differenti. L’arrivo a Roma era pensato solo come parziale, in quanto idealmente il cammino proseguiva fino alla Terra Santa e Gerusalemme. Oggi abbiamo la possibilità di ripercorrere questo cammino attraverso diverse splendide tappe che si sviluppano in quattro paesi: Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia.

La Via Francigena in Inghilterra

La via Francigena segue qui il percorso della North Downs Way. Essa prende avvio dalla magnifica città di Canterbury, sede del primate d’Inghilterra. La cattedrale è un sito Unesco e il monumento più importante della Chiesa anglicana. Usciti dalla città attraverso Westgate ci si ritrova presto in mezzo alla campagna. Poco dopo il villaggio di Patrixbourne si entra nella tenuta di Higham Park, una grande tenuta neoclassica che un tempo ospitava il motociclista Loius Zborowski. Nel corso dei secoli la tenuta ha ospitato personaggi del calibro di Wolfgang Amadeus Mozart,Jane Austen e Charles de Gaulle. Si passa poi dal piccolo villaggio di Woolage, che sembra un isola in mezzo ai campi. Fu realizzato nel 1912 per ospitare i minatori della vicina Snowdon Colliery. Da qui fino a Dover il paesaggio reca le tracce dell’attività mineraria, tanto che in questa zona è presente anche un sentiero chiamato Miners way. Una notte può essere spesa nel villaggio di Shepherdswell, tipicamente inglese con i suoi cottages e pub. In questa località la via Francigena si incontra con la Miners way. Nel secondo giorno di cammino si passerà presto attraverso Waldershare House, dimora palladiana un tempo residenza del Duca di Guildford.

Canterbury Cathedral - Wikipedia
La magnifica Cattedrale di Canterbury, massimo centro della Chiesa Anglicana

Subito dopo si prenderà un antica strada romana che conduce a Dover. Al tempo della conquista romana della Britannia questa fu la prima strada costruita dai romani sull’isola, e l’asse fondamentale per la conquista del territorio. Si arriva quindi a Dover, principale luogo d’imbarco per l’Europa continentale, conosciuto come Portus Dubris per i romani e anche “The Lock and Key of England” ovvero “la serratura e la chiave” dell’Inghilterra. Dover ha sempre giocato un ruolo difensivo importantissimo, soprattutto durante le guerre napoleoniche e la Seconda guerra mondiale, periodi in cui il pericolo di un’invasione dell’isola fu più vicino che mai. Dover è famosa per due attrazioni: le bianche scogliere (White Cliffs of Dover) e il castello. Il secondo è il più grande e probabilmente uno dei più impressionanti dell’intera Inghilterra. Costruito nel dodicesimo secolo, fu successivamente più volte espanso. Insieme alle mura si estendono oltre cinque chilometri di tunnel sotterranei, assai utilizzati nella Seconda Guerra Mondiale.

Dover Castle | English Heritage
L’imponente castello di Dover

La Via Francigena nel Pas-de-Calais

Una volta giunti in Francia si sbarca nella cittadina di Calais. Nella cittadina francese è presente il campanile del municipio, iscritto nell’elenco dei siti Unesco, la Chiesa di Notre-Dame con i suoi magnifici giardini inglesi in stile Tudor e la famosa statua “les bourgeois de Calais”. Proseguendo lungo la spiaggia si può vedere il Fort Risban e il sottomarino Pluviose. Si prosegue quindi lungo la costa, denominata Cote d’Opale fino a Wissant, tipico borgo di pescatori. Dopo Wissant si entra nell’interno, definito come le colline del Boulonnais. Si incontra quindi la vecchia fortezza di Mimoyeques. Si raggiunge poi Guines e la sua Foresta Nazionale e dopo questa località si deve prestare attenzione alla colonna Blanchard, che ricorda il primo volo in mongolfiera attraverso la Manica, avvenuto nel 1785. A Liques si può partecipare alla festa della Turchia,considerata una delle cento più belle di Francia. Dopo Liques il paesaggio si arricchisce di numerosi mulini a vento e si attraversa il percorso chiamato Leulene, antica via militare utilizzata anche da Giulio Cesare per la tentata invasione della Britannia, partita da Sangatte. Non lontano sorge il paese di Moringhem, la città degli “epeunaerts” ovvero degli spaventapasseri. Si arriva quindi a Wisques, dove si conclude la prima grande tappa della Francigena.

Calais Francia 26 Settembre 2015 Municipio Di Calais - Fotografie ...
Municipio di Calais e statua dei bourgeois

Storia dell’energia nucleare in Italia

Oggi l’Italia non dispone di reattori nucleari e l’opinione pubblica italiana è generalmente fortemente contraria all’impiego dell’energia atomica. Un tempo le cose furono però ben diverse. L’Italia fu uno dei paesi pionieri dell’energia nucleare, che ebbe uno sviluppo formidabile nei primi anni Sessanta. Nel 1966 l’Italia era il terzo produttore mondiale di energia atomica, dietro solo a Stati Uniti e Gran Bretagna. Dopo una fase di forte espansione seguì un periodo di stallo e alla fine l’intero settore venne smantellato in seguito al referendum del 1987. Ripercorriamo ora le principali tappe del cammino nucleare italiano

Anni 50 e 60

1955: Si tiene a Ginevra la conferenza “Atomi per la Pace”. Questa conferenza segue il discorso del presidente americano Eisenhower del 1953, secondo il quale l’energia atomica andasse usata per scopi pacifici. Già nel 1955 le autorità italiane decidono per la creazione di un impianto nucleare, situato a Latina (precisamente a Borgo Sabotino). I lavori cominciano il primo novembre 1958 e si concludono il 12 maggio 1963. La centrale diviene operativa il primo gennaio 1964. Nel 1959 iniziano i lavori per la seconda centrale elettronucleare, situata a Sessa Aurunca (provincia di Caserta). Essa entra in funzione il primo giugno 1964, appena cinque mesi dopo l’impianto di Latina. Il primo gennaio 1965 entra poi in funzione la centrale di Trino Vercellese, denominata “Enrico Fermi”, iniziata nel 1961. Questo vero e proprio boom porta l’Italia, come già accennato, ad essere il terzo produttore mondiale di energia dall’atomo. Nel 1970, dopo nove anni, iniziano i lavori per un nuovo impianto: si tratta della centrale di Caorso (Provincia di Piacenza) che entra in servizio il 23 maggio 1978. Nel 1975 nel frattempo l’Italia adotta il primo “Piano Energetico Nazionale”, piano che finalmente delinea le reali necessità energetiche del paese, fino a quel momento non comprese pienamente e in maniera sistematica. Il piano prevedeva tra le altre cose un forte sviluppo dell’energia elettronucleare, da realizzarsi attraverso la costruzione di diverse nuove centrali. Viene progettata una nuova centrale a Trino Vercellese, mai realizzata. Il progetto per un nuovo impianto nucleare a Montalto di Castro (provincia di Viterbo) trova invece la luce: nel 1982 iniziano i lavori.

L’impianto nucleare di Trino, nel vercellese

Anni 80

Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80’ l’idea sul nucleare cambia completamente. Nel 1979 un grave incidente colpisce l’impianto di Three Miles Island (Pennsylvania, Stati Uniti), mentre nel 1984 si registra il gravissimo incidente di Cernobyl (Ucraina Centro-Settentrionale). Fino a quell’anno tutti gli impianti nucleari sono attivi e funzionanti, ad esclusione di quello di Sessa Aurunca, che viene fermato nel 1982 a causa di un guasto (l’impianto sarà poi considerato antieconomico). Nel 1987 si tiene il famosissimo referendum abrogativo sul nucleare: l’80,7% dei votanti si dichiara contrario all’uso dell’energia nucleare. Tra il 1988 e il 1990 tutti gli impianti ancora funzionanti vennero spenti definitivamente. La centrale di Montalto di Castro, in costruzione al momento del referendum, fu convertita in centrale a ciclo combinato.

Il reattore nucleare della centrale di Cernobyl in seguito all’incidente del 1984

Anni 2000

Tra il 2005 e il 2008 i prezzi di petrolio e gas naturale subiscono una forte impennata. Questo porta nel 2008 il governo Berlusconi IV a formulare un piano per l’energia nucleare. Il piano prevedeva la costruzione di dieci centrali, che avrebbero fornito il 25% dell’elettricità nazionale. Il 24 febbraio 2009 il governo italiano sigla con quello francese un accordo per l’implementazione di nuovi reattori. L’accordo interessa L’Enel e la principale società elettrica francese ( Edf) e punta alla realizzazione di almeno quattro reattori nucleari entro il 2020. Il 12 e 13 giugno 2011 si svolge però un nuovo referendum abrogativo. Il referendum comprende quattro quesiti, di cui uno dedicato al nucleare. Il 94,05% si esprime contro di esso. Si tratta di un’avversione ancora più massiccia che nel referendum del 1987.

Elaborazione grafica della possibile collocazione dei reattori nucleari proposti dal governo Berlusconi

Petrolio in Pianura Padana: il giacimento di Villafortuna-Trecate e la raffineria di San Martino di Trecate

Pochi sanno che nella Pianura Padana Occidentale, tra Milano e Torino, a ovest della Valle del Ticino, si trovava uno dei giacimenti petroliferi più grandi d’Italia. Il giacimento di Villafortuna è situato nel comune di Trecate, in provincia di Novara. Fu scoperto nei primi anni 80 e la produzione incominciò nel 1984. Le riserve inizialmente stimate erano pari a circa 300 milioni di barili. La produzione, nel 1997, raggiunse il valore massimo: ben 85 mila barili al giorno. Da quel giorno la produzione è andata drasticamente calando, fino a circa 1200 barili al giorno nel 2014. In vent’anni questo giacimento ha fruttato alle casse dei comuni in cui sono situati i pozzi (oltre a Trecate anche Romentino e Galliate) circa 260 milioni di euro di royalties. Durante l’estate del 2016 la produzione è definitivamente cessata, dato l’esaurimento del giacimento. Il giacimento di Trecate è caratterizzato dall’incredibile profondità del giacimento: in alcune aree a elevata produzione come i paesi del Golfo Persico, i giacimenti si trovano a poche centinaia di metri sottoterra, nel caso di Trecate, le trivellazioni scendevano fino a oltre 5000 metri di profondità!

Immagine di un pozzo petrolifero ormai dismesso nel territorio trecatese

 Questo territorio ospita però anche un altro gigante petrolifero: la raffineria di San Martino (frazione di Trecate), attiva dal 1952. Si tratta, dopo la Raffineria di Sannazaro de’ Burgondi (in Lomellina, provincia di Pavia) della raffineria più grande dell’Italia Settentrionale e Centrale. Oltre a Sannazaro, altre poche raffinerie in Italia (come quelle di Milazzo e Augusta in Sicilia, o quella di Sarroch, in Sardegna) possono vantare una simile produzione (pari nel 2010 a circa 174 mila barili al giorno). Essa occupa una superficie di circa un milione di metri quadrati (100 ettari, oppure 1 chilometro quadrato) e impiega direttamente circa quattrocento persone. Il petrolio arriva alla raffineria direttamente dal porto petrolifero di Vado Ligure, tramite oleodotto, a partire dal terminale di Quiliano. Il petrolio è inizialmente immagazzinato a Quiliano, e poi spedito a Trecate. Ogni anno, circa 75 petroliere vengono ricevute al terminale di Quiliano. I prodotti petroliferi raffinati vengono a loro volta distribuiti tramite autobotti, oppure tramite altri oleodotti, diretti rispettivamente a otto depositi situati in Lombardia e Piemonte. Un oleodotto collega anche la raffineria con l’Aeroporto delle Malpensa, fornendone la totalità del carburante. Ogni giorno, circa duecento autobotti escono dalla raffineria. Ogni anno, circa novemila carri ferroviari carichi di petrolio raffinato vengono spediti ad altri depositi.

La raffineria di Trecate, situata in località San Martino

L’incidente del 1994

La presenza di un’industria petrolifera tanto consistente ha provocato nel corso degli anni fenomeni di grave inquinamento ambientale. Diversi incidenti legati all’industria petrolifera hanno purtroppo interessato l’area, il più grave di tutti avvenuto il 28 febbraio del 1994. Quel giorno, alle ore 15,30 del pomeriggio un pozzo, denominato Trecate 24 e situato in località Cascina Cardana esplose, proiettando un getto alto cento metri di petrolio, sassi, terra e acqua. Durante l’esplosione, a Trecate piove e il petrolio si mischia all’acqua, andando a depositarsi sulle superfici. Circa 400-500 metri cubi di petrolio al giorno vengono nebulizzati insieme alla pioggia. Fortunatamente piove anche il giorno successivo e si evita un potenziale pericolo di esplosione. I tecnici chiamati non riescono a risolvere il problema, data l’eccezionale profondità del pozzo. Fortunatamente, il 2 marzo, il pozzo si blocca da solo. Lo scenario che si presenta è desolante, tutto è ricoperto da una patina oleosa: strade, campi, abitazioni. Durante i giorni precedenti il paese era stato completamente isolato dal mondo esterno, la ferrovia e la statale 11 erano chiuse sul territorio comunale. Nonostante i danni, sarebbe potuto andare peggio: alla fine il pozzo ha eruttato petrolio per soli due giorni, mentre all’inizio i tecnici riferirono che il pozzo avrebbe potuto riversare petrolio per settimane.

L’incidente di Trecate

Altri incidenti hanno riguardato nel corso del tempo la vicina raffineria di San Martino: il 31 agosto 2009 si ebbe un incendio alla struttura, l’anno successivo si ebbe un ulteriore incendio in data 11 settembre. In tempi recentissimi, il 15 aprile 2020 un nuovo incidente ha colpito la struttura, incendio fortunatamente di piccole proporzioni e immediatamente domato.

Risorse energetiche: gli idrocarburi in Italia

L’Italia è un paese notoriamente povero di idrocarburi e fonti energetiche. Nonostante questo, l’Italia possiede dei giacimenti petroliferi e di gas naturale? Certo che sì e nonostante essi non siano giganteschi (e ben lontani quantitativamente dal poter soddisfare i bisogni complessivi del paese), non sono neanche trascurabili. Per quanto riguarda il petrolio, la produzione complessiva italiana nel 2019 è risultata essere pari a 70.675 barili al giorno. A livello mondiale, la produzione è stata pari a circa 80 milioni di barili. A livello pro-capite si tratta di 1189 barili di petrolio prodotti per ogni milione di abitanti al giorno in Italia (a livello mondiale la media è di 10.978 barili). L’Italia è solo il quarantacinquesimo produttore mondiale, eppure, nonostante l’esiguità della produzione, il nostro paese è il quinto produttore europeo, alle spalle di Norvegia, Regno Unito, Romania e Danimarca. La Norvegia, in particolare, ha avuto nel 2019 una produzione pro-capite pari ad oltre 300.000 barili per milione di abitante al giorno, un valore altissimo. Si tratta di una produzione di petrolio di 46,6 kg per residente norvegese al giorno. In Italia, per produrre un barile ogni residente, si impiegano all’incirca due anni e mezzo. Per quanto riguarda il gas naturale, la produzione si aggira sui cinque miliardi di metri cubi all’anno, che pongono l’Italia anche in questo campo al quinto posto in Europa, dietro a Norvegia, Olanda, Regno Unito e Germania. L’Italia è quindi il quinto produttore europeo sia di petrolio che di gas naturale.

Il centro oli di Tempa Rossa ( comune di Corleto Perticara, Basilicata). Questo giacimento, da pochi mesi in funzione, quando completamente a regime, estrarrà 50.000 barili di petrolio al giorno.

Gas naturale

Nel 2019 la produzione di gas naturale è stata pari a 4 miliardi 943 milioni di metri cubi, con massimo a gennaio e marzo e minimo a giugno, settembre e novembre. La produzione in mare ( off-shore) è stata maggiore di quella su terra-ferma: 2 miliardi 927 milioni contro 2 miliardi 55 milioni di metri cubi. La produzione è molto concentrata: circa un miliardo e mezzo di metri cubi sono stati prodotti nella sola regione Basilicata. Su terra-ferma, le altre regioni più produttive sono L’Emilia-Romagna e la Sicilia, con 166 milioni e 178 milioni rispettivamente. Seguono Molise e Puglia con circa 70 e 80 milioni. La produzione in altre regioni è assai poco significativa e maggiore in Lombardia. Per quanto riguarda le zone marine, esse sono divise in quattro aree, denominate zona A, zona B, zona C e zona D. La produzione è maggiore nella zona A (Alto-Adriatico), dove la produzione è stata di un miliardo 645 milioni di metri cubi, seguono la zona B (Canale di Sicilia) e la zona C. La produzione è quasi completamente assente invece nel Tirreno e nel Mar Ligure.

La piattaforma denominata Calipso, di proprietà dell’Eni, nell’Alto Adriatico. Nelle acque di questa porzione di mare si estrae la quantità maggiore di gas naturale a livello italiano.

Petrolio

Nel 2019 la produzione petrolifera nazionale è stata di 4 miliardi 268 milioni di kg. La produzione terrestre è qui decisamente dominante, dato che riguarda 3 miliardi 819 milioni di kg. La produzione marina è stata di 448 milioni di kg. La Basilicata ha prodotto, da sola, circa 3 miliardi 304 milioni di kg. La Sicilia segue da molto distante con 454 milioni di kg. Produzioni molto risibili si hanno poi in Emilia-Romagna e Piemonte. A livello marino, la maggior parte della produzione è concentrata nel Canale di Sicilia.

Il centro-oli di Viggiano ( PZ), nella Val d’Agri ( Basilicata). Attivo dal 2001, produce circa 104.000 barili al giorno. Si tratta del più grosso giacimento on-shore ( su terra ferma) di tutta l’Europa Occidentale.

Un’evento alluvionale poco conosciuto: l’Alluvione della Val d’Ossola del 1987

Nel mese di agosto del 1987, all’incirca un mese dopo l’alluvione che colpì la Valtellina, un evento alluvionale di notevole portata colpì la Val d’Ossola e in particolare la Val Formazza. L’evento si sviluppò tra il 24 e il 25 di agosto, in corrispondenza di un’altra alluvione che, oltre confine, nella vicina Svizzera, colpì duramente il Cantone di Uri, localizzato proprio a Nord della Val Formazza. Ad essere interessato dalla piena fu il bacino del fiume Toce e altri sotto-bacini, come quelli dell’Ovesca, dell’Anza e dello Strona.

Eventi meteorologici

Tutto incominciò il 23 agosto, quando una vasta depressione atlantica si affacciò sull’Europa. Il minimo, centrato sulle Isole Britanniche, innescò correnti meridionali molto umide verso l’Italia Nord-Occidentale. Lo spostamento della perturbazione verso Est fu bloccato dalla presenza di un campo di alta pressione estremamente solido sull’Europa Orientale. Il giorno 24 precipitazioni diffuse interessarono tutta la Val d’Ossola, con valori generalmente superiori ai 50 mm praticamente ovunque (a Sambughetto, in Val Strona, caddero circa 100 mm, mentre a Forno d’Omegna caddero addirittura 232 mm). Nella notte tra il 24 e il 25 fece il suo ingresso la parte fredda del sistema frontale, in concomitanza si creò una convergenza dei venti sul Piemonte Settentrionale, specialmente sull’Ossola. Quel giorno era presenta sul Nord-Ovest anche il ramo ascendente della corrente a getto. Questo causò lo sviluppo di forti nuclei convettivi (temporaleschi) che si mossero con direzione da sud-ovest verso nord-est e interessarono specialmente il versante orografico destro della valle. Furono colpite da precipitazioni torrenziali specialmente la Val Formazza, la Valle Antrona (bacino dell’Ovesca) e la Valle Anzasca (bacino dell’Anza). Anche la stessa città di Domodossola fu duramente colpita. Il giorno 25 agosto ben 247,6 mm di pioggia caddero a Domodossola e addirittura 293 mm ad Anzino. In Val Formazza caddero 180 mm a Ponte e 198 mm a Cadarese. La quota neve rimase inizialmente alta, verso i 3000-3200 metri e a fine evento scese verso il 2500 metri. Questo significò per il bacino del Toce e degli affluenti un apporto quasi solo liquido, con aggravio delle condizioni alluvionali.

Conseguenze

Val Formazza

Nonostante i quantitativi maggiori di precipitazione interessarono la Val Strona (386 mm totali dell’evento a Sambughetto), i danni di gran lunga più rilevanti si ebbero in Val Formazza. Questo potrebbe essere stato dovuto alle pendenze particolarmente accentuate di questa valle. Un numero impressionante di frane e allagamenti sconvolse la vallata, che rimase a lungo isolata. Qui crollarono cinque ponti e novecento turisti rimasero intrappolati. L’isolamento fu dovuto all’asporto della SS659 in località “Le Casse”. Da Fondovalle a Sotto-Frua (frazioni di Formazza) il fondovalle fu interessato da colate detritiche che ostruirono la strada in più punti. Nell’abitato di Valdo la furia del torrente Vannino portò all’allagamento di un campeggio e di parte dell’abitato. Il fiume tracimò anche nella frazione di Fondovalle, allagando la piana. Nella Valle Antigorio furono colpiti i comuni di Premia e Crodo. Nel comune di Crodo, tra la località di Verampio e le Terme, si ebbero colate detritiche lungo il rio Antolina, il rio Golernia e il Rio Grande. Quest’ultima provocò ingenti danni alle terme di Crodo. A Verampio il Toce, ricevute le acque del torrente Devero, fuoriuscì in destra, allagando la piana (compresa la centrale elettrica). All’altezza della traversa Enel il Toce tracimò e allagò la zona retrostante (la traversa ha una portata di ben 1000 metri cubi al secondo e il fiume aveva una portata superiore in quel momento). Nella forra di Pontemaglio l’acqua fu tanta da arrivare quasi al piano stradale, all’imbocco della galleria.

Valle Anzasca

Frane si ebbero a Borca e Pestarena, che interruppero la viabilità in diversi punti. Ronco e Moos vennero minacciate dalle acque del torrente Anza

Val Divedro

Uno smottamento interessò la Strada Statale 33 del Sempione tra Varzo e Iselle.

Fondovalle ossolano

A Pallanzeno circa cento persone vennero evacuate. Questo a causa di una frana che si incanalò nel Rio Moiona.

L’Alluvione della Valtellina del luglio 1987

Nel luglio del 1987 diverse aree dell’Arco Alpino furono flagellate da inondazioni e smottamenti, a causa di un’intensa ondata di maltempo. L’area che subì i maggiori danni fu la Valtellina, dove due frane provocarono molti morti e danni ingenti. A causa dei danni subiti dalla valle, questo evento passò alla storia come l’Alluvione della Valtellina.

Evoluzione meteorologica

I giorni precedenti l’alluvione furono caratterizzati da tempo stabile e caldo, con afa decisamente intensa. La temperatura massima raggiunta a Milano Linate fu di 32,6 gradi, valore comunque tutt’altro che eccezionale per i tempi odierni. All’epoca era però un valore da ondata di calore decisamente intensa. La dinamica meteorologica che portò all’alluvione incominciò il 15 luglio.

15 luglio

Nella giornata del 15 luglio si forma una depressione atlantica a Sud dell’Islanda, il cui minimo pressorio risulta essere di 990 hPa. Si crea quindi una saccatura che sprofonda sull’Atlantico a Ovest dell’Irlanda, dando origine a correnti occidentali che già il 15 impattano l’Arco Alpino. Questo provoca i primi temporali, con accumuli diffusi su tutta l’Alta Lombardia, anche se con quantitativi modesti (meno di 20mm). Le temperature rimangono molto alte e la pioggia cade fino alle quote più elevate (inizialmente anche sulla cima del Bernina).

16 luglio

La depressione si espande verso sud, in direzione del Golfo di Biscaglia e trasla verso occidente in direzione delle isole Britanniche. Un primo cavo d’onda raggiunge le Alpi. Piogge più consistenti interessano la Valchiavenna e le Alpi Orobie ( 35,7 mm a Chiavenna, 35 mm al Lago Venina). Le temperature calano leggermente ( zero termico a Milano Linate verso i 3800 metri).

17 luglio

La depressione scende notevolmente di latitudine, sprofondando sulla Francia (configurazione ideale per il maltempo sull’Arco Alpino). Il minimo barico si colloca al largo della Cornovaglia e le correnti si fanno sud-occidentali, diventando sempre più umide e veloci. Una serie di fenomeni temporaleschi molto intensi colpiscono la Lombardia partendo da ovest ( 125 mm al Lago Inferno in Val Gerola). Lo zero termico risale a 4000 metri ma la copertura nuvolosa e le precipitazioni abbassano le massime, diminuendo il gradiente termico verticale. Piove fino alle quote più elevate, anche sui ghiacciai e le cime.

18 luglio

Si tratta della giornata decisiva. La depressione si isola sulle isole britanniche e la saccatura associata sprofonda sul Mediterraneo Occidentale. Le correnti ruotano da SSW a SW pieno e a causa dell’aria mediterranea si arricchiscono di notevole umidità. La pressione cala ulteriormente. Si originano i fenomeni più intensi, collegati al ramo principale della depressione. In serata si hanno i picchi precipitativi orari. Le Alpi Lombarde sono colpite in serie da diversi temporali a sviluppo repentino. In alcune aree, dove molteplici temporali si susseguono per tutta la giornata, gli accumuli sono impressionanti: al Lago di Scais cadono 305 mm. Fortunatamente picchi del genere sono isolati e nella provincia di Sondrio cadono mediamente tra i 30 e i 150 mm d’acqua. In serata si forma la piena dell’Adda, che percorre la valle e la devasta.

19 luglio

Il fronte freddo transita sull’Arco Alpino tra la notte e il primo mattino. Le precipitazioni continuano con forte intensità (148 mm a Foppolo, 156 mm a Madesimo). Le temperature però, calano ( zero termico sui 3000 metri).

20 luglio

La depressione continua a rimanere stazionaria sul canale della Manica, ma si indebolisce. Le correnti rimangono sud-occidentali e questo favorisce nuove piogge ( tra i 10 e i 30 mm).

Eventi drammatici

I primi eventi drammatici avvennero il 18 luglio, il giorno in cui le precipitazioni furono più intense. I temporali, di incredibile numero e intensità precipitativa, portarono in serata a nefaste conseguenze: verso le 17.30 nel paese di Tartano una grande massa d’acqua e fango (debris flow) si abbatté sul condominio La Quiete e sull’albergo Gran Baita, portando alla morte di 11 turisti. Sempre in serata si sviluppò la piena dell’Adda, che ruppe l’argine nel comune di Berbenno di Valtellina. Berbenno e i comuni limitrofi vennero allagati. Più a valle il fiume ruppe nuovamente gli argini, allagando tutto il fondovalle tra Talamona e Morbegno. All’ imbocco dell’Alta Valle vennero evacuati i paesi di Chiuro e Sondalo così come l’abitato di Torre di Santa Maria, minacciato dal torrente Torreggio. L’evento più rovinoso si svolse però solo dieci giorni dopo, in Alta Valtellina.

Immagine della frana di Tartano

A partire dal 18 infatti, tra gli abitati di Le Prese e Cepina (comune di Valdisotto), a monte della strozzatura della valle nota come Ponte del Diavolo, si incominciarono a notare segnali preoccupanti sulla parete del Monte Zandila. In via precauzionale quindi tutti gli abitati circostanti vennero evacuati. Alle 7.18 del 28 luglio una frana gigantesca si staccò quindi dal Monte Zandila, un volume stimato di 40 milioni di metri cubi di materiale precipitò a valle, distruggendo completamente Sant’Antonio Morignone e Aquilone ( frazioni di Valdisotto). I paesi erano stati fortunatamente evacuati. Nessuno però aveva messo in conto l’onda d’urto generata dalla frana. Essa risalì il versante opposto della valle e costò la vita a 35 persone.

 In seguito alla frana si creò un’altra situazione emergenziale: lo smottamento aveva infatti fermato il fluire dell’Adda, creando uno sbarramento che si riempiva al ritmo di 2 cm all’ora. Incominciò la corsa contro il tempo per evitare la tracimazione del lago, evento disastroso che avrebbe devastato la valle. Nel mese di agosto fu completato un by-pass sotterraneo, che incominciò a far defluire le acque. Alla fine del mese però precipitazioni abbondanti fecero risalire il livello del lago ad un punto assai pericoloso. Si decise quindi per la tracimazione controllata dell’invaso. Fu deciso lo sgombero di tutti i centri abitati tra Sondalo e Sondrio e si procedette all’azione: il deflusso avvenne al ritmo di 40 metri cubi al secondo, e fortunatamente non ebbe conseguenze.

I resti della frana del Monte Zandila ( nota anche come frana della Val Pola)

Alluvioni dell’estate 1987 fuori dalla Valtellina

A causa dei danni enormi fu la Valtellina a guadagnare gran parte dell’attenzione mediatica. Nonostante questo, in contemporanea, altri eventi calamitosi colpirono altre aree delle Alpi.

Tra il 18 e il 19 luglio piogge molto forti colpiscono anche i cantoni svizzeri del Ticino e dei Grigioni. La località più colpita è Poschiavo, dove il torrente Poschiavino straripa, devastando il paese. I detriti si accumularono fino ad altezza d’uomo. Negli stessi giorni in Canton Ticino fu duramente colpita la Valle di Blenio, e in particolare il comune di Aquila.Un mese dopo, in corrispondenza del maltempo che in Valtellina portò all’aumento dell’acqua nell’invaso creato dalla frana, fu colpita duramente la Svizzera Centrale. Il fiume Reuss crebbe a dismisura, creando danni notevoli nel Cantone di Uri. Parte del terrapieno della linea ferroviaria del Gottardo fu asportato, così come parte della strada cantonale di Uri. Il fiume esondò e l’acqua ricoprì vaste parti del fondovalle.

L’alluvione nel cantone di Uri

Terremoti rilevanti del XX secolo in Italia del Nord

Curiosità
Collage fotografico del Terremoto del Friuli, il più violento del secolo

30 ottobre 1901: Un forte sisma, valutato al grado ottavo della scala Mercalli, mette in ginocchio le cittadine sul Lago di Garda, specialmente Salò.

26 ottobre 1914.:Un forte sisma colpisce la Valle del Sangone ( provincia di Torino). L’epicentro fu localizzato nel comune di Giaveno e comportò una magnitudo di 5,2. I danni furono riferibili al settimo grado della Scala Mercalli. A Cumiana quasi tutti gli edifici del capoluogo riportarono danni ingenti, mentre si ebbe un morto a Giaveno.

27 marzo 1928. Un forte sisma, dell’ottavo-nono grado della Scala Mercalli colpisce la Carnia ( Friuli). Si contano 11 morti

10 aprile 1929. Una sequenza sismica colpisce l’area pede-appenninica del bolognese. Il primo sisma avvenne il 10 aprile e causò danni a Bologna e nell’area a sud-est della città ( Castenaso, Ozzano dell’Emilia, Castel San Pietro). Il 19 aprile vi fu un’altra scossa. Un’altra, la più violenta, avvenne il 20 aprile e fu del grado 5 della Scala Richter. Questa scossa colpì invece la aree a nord-ovest della città, in particolare Monte San Pietro e la Valsamoggia.

18 ottobre 1936. Un sisma del grado 5,6 della Scala Richter colpisce le province di Belluno, Treviso e Pordenone. L’epicentro fu a Sud dell’Altopiano del Cansiglio, tra i comuni di Càneva e Cordignano. La zona subì gravi danni ( paragonabili al nono grado Mercalli), sopratutto a causa della povertà delle costruzioni nella zona. Danni ingenti anche nella parte settentrionale della Conca dell’Alpago ( 50-70% degli edifici danneggiati nel comune di Alpago). In totale si contarono 19 vittime.

Sciame sisimico del 1945: diversi sismi colpirono quell’anno l’Oltrepò Pavese e la Provincia di Alessandria. Il primo si registrò il 14 giugno e fu di grado 4,9, il secondo il 29 giugno e fu di grado 5,3. Il terzo, il 15 dicembre, fu di 4,7.

Immagine delle Val Pellice. Questa valle, insieme alle vallate limitrofe come la Valle del Chisone, la zona di Pinerolo e di Giaveno, rappresenta l’area sismica più attiva del Nord dopo le Prealpi Orientali ( Emilia-Romagna esclusa).

12 maggio e 20 giugno 1955: due eventi sismici con epicentro presso Stroppo, nel Cuneese. Il primo di magnitudo 4,7 e il secondo di 4,8. Danni leggeri ma assai diffusi nella Valle Varaita ( crolli di fumaioli, caduta di ardesie).

6 maggio 1976:Terremoto del Friuli. Il più disastroso terremoto avvenuto in Nord Italia negli ultimi 150 anni. Raggiunse il grado 6,5 della Scala Richter. L’epicentro fu localizzato tra Gemona del Friuli e Artegna. Provocò danni enormi e la perdita di 990 vite umane. E’ considerato il peggiore terremoto nel Nord Italia degli ultimi due secoli, assieme a quello che colpì l’Imperiese nel 1887.

5 gennaio 1980. Sisma colpisce la Val Sangone ( Torino) alle 15:32 locali. L’epicentro, come nel 1914, si situa nel comune di Giaveno. Si tratta del terremoto più forte avvertito a Torino in più di 100 anni. Raggiunge una magnitudo di 5. Diversi palazzi in centro a Torino sono lesionati e la popolazione fugge in strada.

15 ottobre 1996. Un sisma colpisce alle 11.56 locali la provincia di Reggio Emilia. Centri più vicini all’epicentro: Novellara, Correggio, Bagnolo. 2 morti. Diverse scosse di replica si sono susseguite per i mesi successivi.

29 dicembre 1999: terremoto del 6 grado della Scala Mercalli colpisce la Valtellina. La magnitudo Richter è valutata a 4,9. Epicentro sopra Bormio. Forte boato e grande spavento a Bormio e Santa Caterina Valfurva. Terremoto più violento registrato in Lombardia negli ultimi anni.

Immagine della Conca di Bormio, nell’Alta Valtellina. Il luogo dell’epicentro del sisma del 1999 si trova sulla montagna alle spalle del punto della fotografia.

Terremoti recenti in Italia del Nord

Curiosità
La torre di Finale Emilia crollata, simbolo della sequenza sismica del maggio 2012. Questa sequenza sismica è la più intensa in Nord Italia dai tempi del terremoto del Friuli.

Eventi sismici significativi che hanno interessato il Nord Italia dal 2000 ad oggi:

21 agosto 2000. Evento sismico colpisce il Piemonte Meridionale, in particolare le province di Alessandria ed Asti. Due scosse nel giro di pochi istanti, tra le 19:14 e le 19:15. Epicentro nel comune di Bergamasco ( Alessandria). Raggiunse una magnitudo di 4,8 sulla scala Richter. Questo sisma è uno dei maggiori mai avvenuti in Piemonte negli ultimi decenni e probabilmente il più forte di cui si abbia notizia nella Valle del Belbo.

21 luglio 2001: un sisma colpisce l’Alto Adige, nella zona compresa tra Merano e le Alpi Venoste ( zona considerata la più sismica della provincia). Il sisma colpisce alle ore 17:06 e dura circa 9 secondi. Diversi danni segnalati a Merano e zone limitrofe. Il terremoto attiva anche due frane. 4 vittime.

11 aprile 2003: un sisma colpisce la provincia di Alessandria, con epicentro 1 km a S-E di Cassano Spinola. La magnitudo è di 4,8. Particolarmente colpito il piccolo comune di Sant’Agata Fossili. Nei giorni successivi furono stimati danni per circa 80 milioni di euro, circa 300 sfollati.

Danni subiti dalla parrochiale di Sant’Agata Fossili (AL) nel sisma del 2003

14 settembre 2003: Un terremoto di magnitudo 5 è registrato 30 km a Sud di Bologna. Avvertito in tutto il Centro e il Nord Italia.

Il sisma del 2004 a Pompegnino

24 novembre 2004: Alle 23:59 di quel giorno un sisma di grado 5,2 colpisce la zona del lago di Garda. L’epicentro è situato in mezzo al lago, circa 3,3 km al largo di Toscolano-Maderno. I danni più rilevanti si hanno a Salò, Roè Volciano, Toscolano-Maderno, Vobarno, Gardone Riviera e Sabbio Chiese. Il luogo più colpito è Pompegnino ( frazione di Vobarno): questa frazione comprendeva case molto vecchie, la maggior parte gravemente danneggiata dal sisma.

23 dicembre 2008: Un sisma colpisce alle 16:24 locali la Provincia di Parma. Non causa feriti gravi, ma alcuni danni ad edifici storici, come il Castello di Torrechiara, e a diverse chiese situate nelle province di Parma e Reggio-Emilia. La magnitudo è di 5,2. Varie repliche si succedono nelle ore successive, la più intensa alle alle 22:58, di magnitudo 4,7.

27 gennaio 2012: Una scossa di magnitudo 5,4 viene registrata alle 15:53, con epicentro a Roccaferrata, nel comune di Corniglio ( sull’Appennino Reggiano). La scossa ha una profondità ( ipocentro) di ben 60 km. Questo fa si che sia avvertita in gran parte del Centro-Nord, ma al tempo stesso produce pochi danni superficiali. Questa scossa in un certo senso premonisce la sequenza sismica di maggio, che colpisce gravemente l’Emilia.

Maggio 2012 : sequenza sismica in Pianura Padana ( Emilia). La sequenza sismica che nel mese di maggio del 2012 ha interessato la pianura emiliana è certamente l’evento sismico più rilevante avvenuto in Nord-Italia dai tempi del terremoto del Friuli del 1976. Esso si può dividere in tre sequenze:

1) 20 maggio 2012: una scossa assai violenta ( magnitudo 6,1) colpisce alle ore 4.03 la bassa Modenese, con epicentro nel terriorio di Finale-Emilia ( Modena).

2) 29 maggio: una scossa di grado 5,9 colpisce la zona compresa tra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, alle ore 9:00. Seguono lo stesso giorno altre tre scosse rilevanti, di magnitudo rispettivamente pari a 5,5; 5 e 4,9.

3) 31 maggio: alle 16:58 una scossa di magnitudo 4 colpisce la bassa reggiana e l’Oltrepò Mantovano, con epicentro tra Rolo e Novi di Modena. La sera dello stesso giorno una scossa di magnitudo 4,2 è registrata a San Possidonio ( provincia di Modena).

Il periodo compreso tra il 2012 e il 2020 risulta particolarmente tranquillo dal punto di vista sismico. In questo periodo l’unico evento di rilievo si registra il 15 gennaio 2019. Quel giorno un sisma di magnitudo 4,6 colpisce la Romagna. L’epicentro si situa circa 11 km a Sud-est della città di Ravenna, vicino alla costa. Sono segnalati solo lievi danni.

Centralia: la vera Silent Hill

Pochi forse hanno mai sentito parlare di Centralia. Questa cittadina della Pennsylvania, un tempo come molte altre, versa oggi in stato di quasi completo abbandono. Perché oggi quasi nessuno vi abita più? Scopritelo in questo articolo

Centralia è ( o forse sarebbe meglio dire era) una cittadina della Contea di Columbia, nella Pennsylvania Centrale. Questa zona è stata dalla fine dell’ottocento un luogo assai attivo per l’industria mineraria e un ricco bacino carbonifero. Tutto questo cambiò a partire dagli anni 70′ e poi sopratutto negli anni 80′, quando il cuore industriale americano ( la cosidetta Manufacturing Belt) subì un processo di rapida de-industrializzazione e la conseguente perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il disastro economico fu tanto grande che oggi l’area è nota come Rust Belt ( cintura della ruggine). Il quasi completo abbandono di Centralia non è però dovuto alla crisi dell’industria, bensì a un incendio sotterraneo di incredibile natura.

One of Few Remaining Homes in Centralia, PA | The brick supp… | Flickr
Una delle poche costruzioni rimaste a Centralia

La storia di Centralia

La storia della cittadina è indissolubilmente legata al carbone ( in questo caso antracite). Le prime due miniere aprirono nel 1856 e nel 1865 fu raggiunta dalla Lenigh and Mahanoy Railway, che trasportava l’antracite verso i mercati della Pennsylvania Orientale. Nel 1890 la popolazione raggiunse il culmine: 2761 abitanti. In quell’anno si contavano ben sette chiese, cinque hotel, ventisette saloon e due teatri; a testimoniare la prosperità della località. Nel 1927 la produzione di antracite raggiunse il culmine. La Grande Depressione, incominciata nel 1929, comportò la chiusura di cinque miniere. Molti lavoratori del carbone, per evitare di perdere il lavoro, incominciarono a scavare piccoli pozzi minerari clandestini ( fenomeno definito in inglese bootleg mining). Nel 1938 il governatore della Pennsylvania stimava che nello stato oltre 7000 minatori fossero impiegati in questa pratica illegale e che i pozzi scavati sarebbbero stati più di 1900. I successivi crolli di questi pozzi avrebbero reso le misure di contenimento dell’incendio molto più difficili.

Immagine storica di Centralia nel momento del suo massimo sviluppo

L’incendio

Tutto cominciò il 7 maggio 1962, quando il Concilio di Centralia si riunì per discutere la celebrazione del Memorial Day. Una delle decisioni prese fu quella di “ripulire” la discarica di Centralia, aperta pochi mesi prima. Questa discarica era stata aperta per evitare l’abbandono di rifiuti in maniera indiscriminata in altri luoghi della città. Il sito prescelto fu una vecchia miniera all’aria aperta in disuso, profonda circa 15 metri. Già una legge della Pennsylvania del 1956 regolava la creazione di discariche in miniere abbandonate, data l’alta pericolosità di incendio. George Segaritus, un ispettore regionale delle discariche disse riguardo al caso di Centralia che se si fosse deciso di appiccare un fuoco, il terreno sottostante avrebbe dovuto essere ricoperto di materiale non-infiammabile. Nonostante questo, le autorità di Centralia, decisero di “ripulire” la discarica bruciandone i rifiuti e la procedura iniziò il 27 Maggio.

Nonostante i tentativi dei pompieri di dosare l’incendio il fuoco bruciò per più del previsto. Alcuni giorni dopo un’apertura larga circa 4,6 metri fu ritrovato sotto la base della fossa e secondo diversi pareri da lì il fuoco si propagò ai passaggi sotterranei. Dato che il fuoco sembrava continuare a bruciare In luglio un membro del consiglio cittadino chiamò Gordon Smith, un ingegnere del Department of Mines and Mineral Industries che a suo volta chiamò Art Joyce, un ispettore minerario di Mount Carmel, il quale, portando materiale per rintracciare i gas, trovò nel grande buco elevate concentrazioni di monossido di carbonio, tipico degli incendi nelle miniere di carbone. Il 9 agosto furono rintracciate nell’aria quantità mortali di monossido di carbonio. Tutte le miniere operanti a Centralia vennero chiuse per precauzione il giorno seguente.

Tentativi di contenimento

Lo stesso anno vennero indetti due progetti per cercare di estinguere l’incendio. Nessuno dei due ebbe successo. Per molti anni l’estensione sotterranea del rogo e la sua gravità non furono ben comprese e la vita continuò più o meno come prima. L’opinione pubblica si rese conto della gravità del problema nel 1979. Quell’anno John Coddington, proprietario di una stazione di servizio, inserì un termometro nel tank sotterraneo del carburante e scoprì che la temperatura era di ben 172 gradi fahrenheit ( 77 gradi centigradi). A partire dal 1980 diverse persone incominciarono a riscontrare gravi problemi di salute a causa del monossido di carbonio. Nel 1981 un ragazzo di 12 anni cadde in un buco profondo 46 metri apertosi improvvisamente nel suo giardino. Nel 1984 il Congresso americano stanziò 42 milioni di dollari dell’epoca per aiutare le persone a trovare casa altrove. Nel 1992 tutte le costruzioni di Centralia furono sottoposte a esproprio. Nel 2002 il codice ZIP per la cittadina ( l’equivalente americano del nostro CAP) fu definitivamente cancellato.

Centralia Mine Fire: Devastation from Underground

Centralia Oggi

La popolazione di Centralia, già in declino prima del rogo, è passata dai circa 1100 residenti del 1970 ai 63 del 1990. Oggi appena 7 persone vivono a Centralia, facendone di fatto la località ( borough) meno popolosa di tutta la Pennsylvania. L’incendio è ancora attivo tuttora e si sviluppa sottoterra su una superficie di circa 15 chilometri quadrati. L’incendio si è esteso anche alla località di Bynersville che è stata abbandonata e rasa al suolo. Oggi Centralia è una strana meta turistica e molte persone la raggiungono per vedere gli effetti dell’incendio. La Pennsylvania Route 61 è oggi chiusa nei pressi della città ed è diventata negli anni un percorso gradito per i ciclisti e i pedoni. Essendo completamente ricoperta da graffiti si è meritata l’appellativo di graffiti highway.

A Visit to Centralia - A Ghost Town on Fire | PhillyVoice

Variazioni estreme di temperatura

Un caso italiano

Il 14 di Aprile del 2020, durante le ore serali, la Pianura Padana ha conosciuto un fenomeno meteorologico estremo ed interessante: una corrente fredda orientale ha portato venti di bora, provocando un vero e proprio crollo della temperatura, accompagnato da un aumento massiccio dell’umidità relativa. Emblematica la situazione a Milano, dove la temperatura è crollata di 11° in un’ora, passando dai 25° delle 17:00 ai 14° delle 18:00. L’umidità relativa è passata dal 6 al 56% nello stesso lasso di tempo. Alle 17:00 Milano si trovava sotto venti di foehn, caldi e secchi, sostituiti repentinamente dalla bora, le cui raffiche poderose hanno anche alzato un arco di sabbia e caligine ben visibile dalla città, che si è spostato da Est verso Ovest sulla Pianura Padana centrale, quasi come una tempesta di sabbia.

Il muro di polvere sollevato dalle raffiche di bora in avanzamento, visto dalle colline piacentine

Se questo crollo termico può sembrare brutale per l’Italia, in altri luoghi sono state registrate variazioni termiche tanto estreme da fare apparire questo evento recente qualcosa di assolutamente ordinario.


Tre casi estremi d’Oltre Atlantico

Il caso più straordinario avvenne il 22 gennaio del 1943 e ha dell’incredibile. Se non fosse stato registrato dagli strumenti forse molti ne avrebbero messo in dubbio la realtà. Ci troviamo a Spearfish, nel South Dakota, ai piedi delle Black Hills ( montagne famose per ospitare il Monte Rushmore). Alle 7:30 del mattino la temperatura è di -20°, due minuti dopo alle 7:32 la temperatura sale a +7, a causa del vento di Chinook. Lo Chinook è un vento che per formazione e consistenza è quasi identico al foehn alpino: un vento di caduta estremamente secco che parte freddo e che travalicando una catena montuosa si scalda per compressione e fa aumentare la temperatura sul versante sul quale discende. Alle 9:00 del mattino la temperatura sale ancora fino a raggiungere+12°. In breve tempo lo Chinook cessa e alle 9:27 la temperatura è di -20° ( 32 gradi in meno in 27 minuti). L’abbassamento di temperatura è tanto rapido che diversi vetri si rompono. Eccezionale vero? La regione della Grandi Pianure Americane è conosciuta per i propri sbalzi termici estremi, dovuti a una conformazione ed a un setting geografico unico. Il clima più estremo poi riguarda la parte di queste pianure più vicina alle Montagne Rocciose ( le cosidette High Plains) chiamate così impropriamente data la loro elevazione superiore ai 1000 metri. La storia climatica di questi luoghi ha visto diversi eventi estremi di questo tipo.

Le Black Hills del South Dakota

Il secondo caso avvenne nel 1972 a Loma, nel Montana. La temperatura passa in ventiquattro ore da -48 a + 9 gradi, sempre a causa dei venti di chinook.

Infine il terzo caso che corrisponde ad un evento relativamente recente ma che non detiene un record assoluto: il 29 novembre 2014 alla 1.35 p.m la cittadina di York (Nebraska) registra una temperatura di 81 F ( 27 ° C), il giorno dopo la temperatura alle 7.30 del mattino era di 10 F ( -12 °C), a Douglas ( Wyoming) la temperatura crollò quel mattino di 20° in un’ora e a Livingston ( Montana) di 14° in sei minuti. A Bozeman ( Montana) a circa 1000 km da York la temperatura all’alba del giorno 30 era di -30°. In questo caso il tracollo non è dovuto però a un vento, bensì a un fronte freddo e quindi effettivamente ad una massa d’aria più fredda.

Eccezionale vero?