Il Consumo di suolo in Lombardia

Il suolo è una delle nostre risorse più preziose: esso letteralmente ci sostiene e sopratutto è alla base delle attività agricole, che senza un suolo fertile non possono produrre il cibo di cui abbiamo e avremo sempre bisogno. Per consumo di suolo si intende la copertura di terreni naturali o agricoli con superfici impermeabilizzate ( edifici, infrastrutture etc…)

Perchè proteggere il suolo è tanto importante?

L’impermeabilizzazione del suolo produce molti effetti negativi. Impermeabilizzare i terreni significa aumentare il deflusso superficiale delle acque piovane, comportando fenomeni di allegamento più diffusi e alluvioni più frequenti. Il consumo di suolo riduce poi la dispersione del calore, favorendo la creazione delle cosiddette “isole di calore urbano”. Nel nostro Paese e in Lombardia la cementificazione avviene solo per una piccola percentuale su terreni naturali o semi-naturali. Sono invece in larga parte le aree agricole ad essere sacrificate al consumo di suolo, con conseguenze molto negative come la perdita delle rese agricole, il danno paesaggistico e la dipendenza sempre maggiore da produzioni agricole non prodotte in loco.

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La Lombardia: terra di forte cementificazione

La Lombardia si caratterizza a livello nazionale per un tessuto economico di straordinaria dimensione e diversificazione. Basti pensare che la Lombardia possiede allo stesso tempo l’agricoltura più produttiva del paese, il sistema industriale più imponente e il settore terziario più sviluppato. Accanto alla preminenza economica si affianca la preminenza demografica: 10 milioni di abitanti ( il doppio del Veneto) e una densità demografica pari a 420 abitanti per chilometro quadrato, cifra paragonabile a quella dell’Olanda e più di 8 volte superiore alla media mondiale. Questa notevole pressione demografica, unita al benessere economico e alla forte presenza industriale ha inevitabilmente provocato forti pressioni sull’ambiente. Una di queste pressioni è dovuta alla cementificazione: la nostra regione è una delle aree più urbanizzate d’Europa.

Cielo sereno su Milano, il panorama è uno spettacolo - 1 di 15 ...
Immagine ad alta risoluzione da un palazzo di Milano in una giornata particolarmente tersa. Sullo sfondo il gruppo delle Grigne ( Lecco). Si nota l’elevato grado di urbanizzazione del territorio.

Diamo qualche numero

Secondo i dati di Legambiente tra il 1999 e il 2012 ben 44.766 ettari di territorio lombardo sono stati cementificati. Ciò equivale a circa 3000 ettari all’anno ( o 90.000 metri quadrati al giorno). In questo periodo la superficie urbanizzata è passata dal 12,6 al 14,5% del territorio complessivo, con un aumento della superficie edificata del 14,8% su base regionale. Questi dati nascondono però una situazione molto disomogenea tra le varie province: l’urbanizzazione è infatti cresciuta in maniera enorme nelle province meridionali e in quelle orientali, mentre nella parte occidentale della Regione gli incrementi sono stati più modesti, specialmente nelle tre province di Varese, Como e Lecco. Per intenderci la Provincia di Mantova ha visto un aumento del 23,3% della superficie urbanizzata ( valore più alto) mentre la provincia di Varese solo del 7,3% ( valore più basso). Dal 2012 la situazione è però molto cambiata. Fattori come la forte diminuzione nella crescita della popolazione, unita alla crisi del settore immobiliare, ha provocato una fortissima riduzione dell’urbanizzazione. Secondo un rapporto Ispra di pochi anni fa ad esempio tra il 2016 e il 2017 sono stati urbanizzati 600 ettari di territorio lombardo, valore questo 5 volte più basso che nel periodo pre-crisi. Negli ultimi anni è cambiata anche la geografia del nuovo urbanizzato: gli incrementi maggiori si sono infatti spostati verso il milanese e le due province limitrofe a Sud: Lodi e Pavia, seppur con valori molto minori che in passato.

Consumo di suolo: così la Lombardia ha cancellato se stessa ...
Foto aerea di un’area tra Castenedolo e Montichiari (Brescia). Notare l’aumento dell’urbanizzazione dovuta ad una nuova autostrada e alla conseguente proliferazione di zone commerciali e logistiche

Un caso eclatante: le nuove autostrade

Mentre le nuove costruzioni residenziali e industriali subivano un tracollo dopo la crisi economica del 2009 al contrario le autostrade hanno conosciuto nella nostra regione un vero e proprio revival a partire proprio da quell’anno. Nel 2009 sono infatti iniziati i lavori della nuova autostrada BRE-BE-MI per 62 chilometri di lunghezza, conclusosi tra il 2014 e il 2015. Tra il 2012 e il 2015 è stata poi costruita anche la TEEM ( Tangenziale Est Esterna di Milano) per complessivi 32 km di nuova autostrada. Nello stesso periodo è stata approntata anche parte della cosiddetta “Pedemontana Lombarda” che a oggi risulta però ancora incompiuta. Per quanto riguarda quest’ultima i lavori sono iniziati nel febbraio 2010 e l’apertura dei tratti completati è avvenuta il 24 gennaio 2015. Tra il 2009 e il 2015 si sono costruiti quindi in Lombardia 124 chilometri di nuove autostrade, 20 chilometri all’anno. Si tratta del più grande boom nella loro costruzione addirittura dagli anni settanta. Le autostrade da sole non costituiscono l’unico problema. Accanto ad esse infatti si vanno a sviluppare complessi industriali e logistici, aggravando il problema del consumo di suolo. In particolare la creazione della TEEM e della BRE-BE-MI ha portato alla perdita di notevoli quantità di terreni agricoli di indubbia produttività tra est milanese, bassa bergamasca e bresciana. Con l’aggiunta dell’Alta Velocità Milano-Verona questo territorio è stato interessato in pochi anni da centinaia di chilometri di grandi infrastrutture, che hanno stravolto pesantemente il paesaggio e cambiato per sempre questi territori.

Tra Treviglio e Caravaggio, Brebemi e opere connesse hanno reso irriconoscibile la campagna - fonte Dossier fotografico sul consumo di suolo agricolo in Lombardia
Area compresa tra Treviglio e Caravaggio (Bergamo). La costruzione della Bre-Be-Mi, dell’alta velocità e delle opere ausiliarie ha reso la campagna irriconoscibile.

Una riflessione personale

Le autorità pubbliche, così come le imprese e i privati cittadini si dovrebbero rendere conto dell’enorme valore del suolo. Questo ancora di più in un’area come quella lombarda in cui il verde scarseggia. In una realtà già fortemente antropizzata si dovrebbe pensare a modalità di trasporto più sostenibili e fare di tutto per preservare il più efficacemente possibile la natura e i sistemi agricoli locali, riducendo l’inquinamento e il consumo dissennato del suolo, vera e propria risorsa non-rinnovabile.

La Valle del Ticino

La Valle del Ticino è un ambito territoriale di estremo interesse e comprende tutto il percorso del fiume. E’ situata in parte in territorio elvetico e in parte fra Lombardia e Piemonte; in territorio italiano è tutelata, per la parte lombarda, dal Parco lombardo della Valle del Ticino, e per la parte piemontese dal Parco naturale del Ticino. Il Fiume omonimo ha una lunghezza totale di 248 km, dal Passo di Novena, in Svizzera, alla confluenza con il Po. Nel tratto inferiore a valle del Lago Maggiore, da Sesto Calende (VA) al Ponte della Becca (PV), ha una lunghezza di 110 km.

Il Passo della Novena ( Nufenen Pass in tedesco). Questo valico a quota 2478 m. slm separa il Canton Ticino dal Canton Vallese e il bacino idrografico del Ticino da quello del Rodano.

La Valle del Ticino, nel suo complesso, ha ottenuto nel 2002 il riconoscimento di Riserva della Biosfera nell’ambito del Programma Man and Biosphere (MAB) dell’Unesco. Dopo un primo ampliamento riconosciuto nel 2014, a luglio 2018 è stata designata la Riserva Ticino Val Grande Verbano, quale ulteriore ampliamento della Riserva Valle del Ticino sino al confine svizzero.

Il Parco della Valle del Ticino

Il Parco Lombardo della valle del Ticino ha una superficie di circa 91.800 ettari, di cui circa 20.500 tutelati a Parco Naturale, e comprende l’intero territorio amministrativo dei 47 Comuni lombardi collocati lungo il tratto del fiume Ticino compreso tra il lago Maggiore e il fiume Po, nelle province di Varese, Milano e Pavia. Il Parco del Ticino Piemontese (oggi ricompreso nell‘Ente di gestione delle aree protette del Ticino e del Lago Maggiore), istituito nel 1978, comprende una superficie di 6.561 ettari a Parco Naturale includendo parte del territorio di undici Comuni della Provincia di Novara: Castelletto sopra Ticino, Varallo Pombia, Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago, Cameri, Galliate, Romentino, Trecate e Cerano.

Immagine della Lanca di Bernate ( Provincia di Milano).
La lanca è un meandro fluviale abbandonato per la diversione del fiume dal suo alveo principale.

Il territorio del Parco del Ticino è occupato per quasi il 55 % da aree agricole, il 22% da foreste, il 20 % aree urbanizzate e il 3% da reticolo idrografico.

La presenza di un ricco e variegato insieme di ecosistemi, in molti casi ben conservati, fa sì che nel Parco sia presente un patrimonio di biodiversità che non ha eguali in Pianura Padana: finora sono state censite 6235 specie, di cui 3264 del Regno animale, 1585 del Regno vegetale e 1386 del Regno dei funghi. Ciò ha permesso il riconoscimento nel Parco di ben 14 Zone Speciali di Conservazioni (ZSC) e 1 Zona di Protezione Speciale (ZPS) ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli (Rete Natura 2000)

La Riserva della Biosfera

Nell’ambito della procedura di revisione periodica, la Riserva della Biosfera “Valle del Ticino” si è significativamente ampliata in territorio piemontese, andando ad includere i comuni appartenenti al Parco del Ticino piemontese e una ventina di Comuni limitrofi. Attualmente la Riserva include una superficie di quasi 150.000 ha, di cui circa 14.000 ha classificati come core area, 33.000 ha individuati come buffer zones e oltre 100.000 come zona transition. Tale azzonamento risponde ai criteri di classificazione previsti dal Programma MAB che suddivide le Riserve in tre zone:

  • Zone centrali (“Core Areas”), nelle quali l’obiettivo principale è la conservazione degli ecosistemi ed è destinata alla ricerca scientifica;
  • Zone cuscinetto (“Buffer Areas”), rafforzano l’azione protettiva delle vicine zone centrali. Vi si sperimentano metodi di gestione delle risorse rispettosi dei processi naturali, in termini di silvicoltura, agricoltura ed ecoturismo;
  • Zone di transizione (“Transition Areas”), dove si svolgono attività economiche per il miglioramento del benessere delle comunità locali. Sono presenti insediamenti abitativi, industriali, attività agricole rispettose dell’ambiente.

Le popolazioni pre-romane dell’Italia del Nord

Territorio

Cosa sappiamo di coloro che abitavano la nostra terra prima dei romani?

Il periodo storico che precede la colonizzazione romana è piuttosto avaro di notizie riguardanti le popolazioni dell’Italia Settentrionale. A differenza di aree come la Grecia, l’Asia Minore e la Penisola Italiana ( Magna Graecia) l’Italia continentale non vide infatti fino all’epoca romana civiltà particolarmente elaborate ( se per esse si possono intendere civiltà in grado di costruire città, monumenti e creare opere letterarie). Notizie certe ci giungono solo con la crescita della potenza romana che dall’Italia Centrale si spinge prima in direzione sud e poi verso nord. Notizie ancora più antiche ma più discontinue ci vengono invece dai greci che si stanziarono nell’Italia Meridionale.

Il villaggio celtico
Ricostruzione di un tipico villaggio celtico. Mentre in Grecia si costruiva il Partenone ( V secolo a.C) le popolazioni del Nord Italia vivevano in semplici villaggi

L’età del ferro

Per età del ferro si intende un periodo compreso tra il XII e il IV secolo a.C che vide la diffusione della tecnica del ferro. In questo periodo l’Italia vide la presenza di diverse, note generalmente come “culture”. Le notizie ci parlano probabilmente di otto culture differenti, delle quali due nel Nord: la cosi detta “Cultura di Golasecca” sviluppatasi nel Nord-Ovest e la “cultura atesina”, diffusasi nel Nord-Est. Le altre culture presenti in area italiana erano: quella “villanoviana”, quella “picena”, quella “laziale”, quella delle “tombe a fossa”, quella Apulo-Salentina e quella Sicula. La maggiore differenza culturale tra queste popolazioni riguardava il trattamento dei defunti: nelle civiltà centro-meridionali ( ad esclusione dell’Area Laziale e Toscana) prevaleva l’inumazione, mentre nell’Italia Settentrionale prevaleva la cremazione.

Popolazioni dell’età del ferro nel Nord-Ovest: la cultura di Canegrate e di Golasecca

La cultura di Canegrate

La cultura di Canegrate fa riferimento a una cultura sviluppatesi tra Lombardia Occidentale, Canton Ticino e Piemonte Orientale tra il XIII secolo a.C e l’ultima età del ferro. Si chiama così in onore della cittadina di Canegrate, nell’Altomilanese. Qui nel 1926 Giudo Sutermeister scoprì una grande e insolita quantità di materiale funerario. Questa cultura fu prodotta probabilmente da una ondata di popolazioni proto-celtiche provenienti dal oltre le Alpi. Queste popolazioni introdussero la tecnica della cremazione al posto dell’inumazione praticata dalle popolazioni originarie. Dopo poco tempo ( forse poco più di un secolo) questa cultura si fuse con la cultura autoctona, dando origine alla “cultura di Golasecca”. Siti archeologici di questo peculiare momento sono stati ritrovati in diversi luoghi: Novara, Vicolungo e Castelletto Ticino ( provincia di Novara), Premeno ( Verbano-Cusio-Ossola), Legnano e Canegrate ( provincia di Milano), Appiano Gentile ( Como), Ligurno ( Varese); Rovio, Gudo,Locarno, Giubiasco e Bellinzona ( in Canton Ticino).

Cultura di Canegrate - Wikiwand
Oggetti appartenenti a un insediamento della Cultura di Canegrate ( Chiesa di Santa Colomba, Canegrate)

La cultura di Golasecca

La cultura di Golasecca caratterizzò un territorio di circa 20.000 km quadrati compreso tra il Fiume Sesia a ovest e il fiume Serio ad est, a Sud il confine correva lungo il Po mentra a Nord aveva le Alpi come barriera. Originata dalla fusione tra l’elemento proto-celtico e gli elementi locali ( forse Liguri o Leponzi) ebbe una diffusione capillare e caratterizzò fin nel profondo la civiltà di questa zona tra il nono e il terzo secolo avanti Cristo, con evidenti continuità fino alla conquista romana. Questa cultura aveva molte affinità con quella di Halstatt, sviluppatasi quasi contemporaneamente a Nord delle Alpi. Il nome prende origine dalla località di Golasecca ( in provincia di Varese, lungo le rive del Ticino). Nella località detta Monsorino furono portati alla luce diversi manufatti originali e situazioni funerarie. L’epicentro di questa cultura interessò l’area di Golasecca, Sesto Calende e Castelletto Ticino. Un secondo epicentro di minore rilievo era situato nei dintorni di Como.

La civiltà di Golasecca a Somma Lombardo e dintorni | CAI Somma ...
Il bosco del Monsorino, stupenda area verde di Golasecca. In questo luogo sono state scoperte le prime prove della Civiltà di Golasecca

La storia nel periodo pre-romano

Mentre l’area dei laghi prealpini e del Piemonte è rimasta fino alla conquista romana essenzialmente celtica altre aree dell’Italia Settentrionale furono invece occupate dall’espansione etrusca. Essa si sviluppò già a partire dal VIII secolo a.C, quando gli Etruschi conquistarono vaste aree della Pianura Padana ( specialmente in Emilia), dando origine alla Cultura Villanoviana. In seguito alla Battaglia di Alalia del 541 o 535 a.C l’espansione etrusca procedette con ancora maggior vigore, interessando anche il Veneto e la Lombardia vicini al Po. In Lombardia gli etruschi si espansero dall’attuale zona del Mantovano verso Nord e sopratutto verso ovest, parallelamente al corso del Fiume Po. L’area più occidentale raggiunta fu probabilmente il basso corso dell’Adda. Le principali città etrusche del Nord Italia furono Felsina (Bologna), Marzabotto e Spina. Nel quarto secolo a.C i Galli invasero l’Italia, portando al famoso Sacco di Roma del 387 a.C. L’invasione dei Galli spazzò via la presenza etrusca nella Pianura Padana e portò allo stanziamento di popolazioni celtiche nell’attuale Emilia-Romagna ( Boi,Senoni etc.)

Quali furono le principali popolazioni pre-romane in Lombardia?

Insubri: Basso Lago Maggiore, Novarese, Varesotto e Comasco. Essi si espansero poi verso Sud fondando forse il primo nucleo della città di Milano ( Mediolanum).

Leponzi: insediati nella Val d’Ossola e Canton Ticino ( sopratutto Sopraceneri, ma forse anche Sottoceneri). Le loro città principali per i romani furono Oscela ( poi Oscela Lepontorum) ovvero l’odierna Domodossola e Blitio ( oggi Bellinzona)

Orobi ( Urumbovii o Urumobii): abitavano nella valli del bergamasco,del lecchese e del comasco.

Marici e Clevi: abitavano la zona del Pavese ( Lomellina e corso del Ticino) e la vicina Provincia di Alessandria. Erano in contatto con gli Insubri del Basso Lago Maggiore.

Insubri - Wikipedia
Carta delle popolazioni pre-romane del Centro-Nord Italia e aree limitrofe:In verde i territori abitati da popoli celtici, in giallo senape le altre popolazioni non celtiche